La Prova Storica

Sugli investigatori grava sin da sempre l’annoso compito di dover ricostruire un episodio di natura delittuosa in un’epoca successiva, anche distante, dalla data in cui lo stesso si è verificato.

Molti eventi accaduti in epoche trascorse sono giunti sino ai nostri giorni nelle più maniere più svariate, sarà capitato di leggere: “la storia attraverso le sue testimonianze, ci tramanda….” Ebbene si! Ci tramanda episodi, accadimenti in grado di giungere sino ai nostri giorni grazie a reperti o scritti che danno la prova dell’esistenza di quel dato fatto, magari sino a quel momento ritenuto non credibile o mai verificatosi.

Testimonianze che si manifestano attraverso reperti o documenti che sottoposti ad un’attenta indagine da parte degli esperti, rivelano sequenze di storia che altrimenti, non avremmo mai avuto modo di conoscere.

Come in un’investigazione: dove dal  risultato della ricerca del reperto e la sua successiva analisi potrebbero emergere elementi utili ad alimentare lo sviluppo dell’indagine investigativa.

La storia riporta a noi i suoi eventi tramite i ritrovamenti di reperti, ma si tratta di fatti accaduti centinaia o anche di migliaia di anni or sono, ma se si prende in considerazione un passato più prossimo si concreta la possibilità di poter avere a disposizione non solo reperti o scritti, bensì anche testimonianze dirette rese da persone che, per qualsivoglia motivo, si sono trovate a contatto con quel dato fatto delittuoso appunto oggetto di indagine.

A riguardo dell’indagine genetica venne fatto cenno alla scena del crimine, descritta come un insieme eterogeneo di indizi (impronte digitali, tracce biologiche, orme) sui quali dover indagare, ma venne fatto rilevare che correlativamente al lavoro di analisi svolto dagli esperti nelle scienze forensi, devono essere svolte ulteriori indagini, utili a pervenire ad identificare persone che possono aver assistito al fatto ed in grado di descriverne quindi le fasi salienti.

Si è soliti adoperare spesso durante la fase investigativa termini come: prova di un fatto o prova della verità di un fatto; in entrambi i casi si ignora che non esistono fatti veri o fatti falsi un fatto o è o non è, soltanto la sua enunciazione può rivelarsi falsa o altrimenti vera, la caratteristica di un fatto che si sostiene accaduto nel passato può essere la sua esistenza ma non la sua verità (1), con questa sua affermazione di Giulio Uberti ci pone al centro della questione.

Non possono esistere dunque fatti falsi o fatti veri, un fatto o è non è. Piuttosto si può trattare di una falsa rappresentazione, tale da renderlo diverso da ciò che realmente è o addirittura il racconto di un fatto che nella realtà non è mai accaduto.

La ricostruzione giudiziaria del singolo evento può essere effettuata sia attraverso i metodi di ricerca scientifica o mediante i mezzi dell’ordinaria conoscenza ossia mediante le massime d’esperienza, fatti notori o indizi.(2)

E’ importante ribadire che la ricostruzione fattuale di un evento delittuoso è rappresentata da molteplici difficoltà, dato che le attività sono condotte ora per allora, dunque accertare nel presente ciò che si è verificato in un passato più o meno recente.

Appare pertanto evidente che il ragionamento probatorio improntato alla verifica di un’ipotesi circa l’esistenza di un fatto avuto origine da un comportamento umano, non può in alcun modo fare riferimento ad un modello quale è quello deduttivo che non consente di pervenire a conoscenze ulteriori rispetto a quelle di cui il giudice è già in possesso.

se la prova fosse intesa sul metro deduttivo nessuna condanna sarebbe mai possibile, mentre se venisse valutata secondo il criterio induttivo, riappare tutta l’incertezza che ci si propone di eliminare”.

Quali siano le regole di giudizio vi sarà sempre un certo numero di processi dove il materiale probatorio può giustificare la condanna come l’assoluzione e dove, quindi, la scelta tra l’una e l’altra pur doverosamente operata sul presupposto che sia l’unica giusta è inevitabilmente connotata da uno spiccato soggettivismo.(3)

Nonostante l’inarrestabile progredire, soprattutto nell’ultimo decennio, delle scienze forensi, l’indizio che può essere tratto dalle dichiarazioni rese attraverso le testimonianze continua a costituire un fondamento valido per la ricostruzione di un dato fatto accaduto in un determinato contesto storico e concernente una specifica fattispecie criminosa.

Chi è il testimone? È opportuno precisare che proceduralmente il testimone non nasce come tale ma come persona informata sui fatti, la qualità di testimone si assume con l’avvio della fase processuale naturalmente ad eccezione fatta per quelle attività procedurali il cui obiettivo precipuo è quello di cristallizzare l’elemento probatorio sin dalla fase delle indagini preliminari (l’incidente probatorio).

L’aspetto procedurale verrà indagato in un secondo momento, per ora è opportuno focalizzare l’attenzione sulla figura del testimone.

Questo soggetto processuale che, per determinate circostanze derivanti o meno dalla sua volontà, ha avuto modo di interagire, magari solo assistendovi con un episodio delittuoso.

Il cosiddetto testimone oculare, in grado quindi di far identificare il presunto colpevole attraverso la narrazione di dettagli che altrimenti non si sarebbero potuti conoscere.

Lungi però dal pensare che la prova dichiarativa possa essere scevra da errori, anzi essi possono insorgere a causa di variabili determinate da numerosi fattori: cattiva memoria, deviazioni di genere doloso, eventi traumatici, situazioni travisate a causa di svariati fattori socio-ambientali.

Essa dunque deve essere sempre meticolosamente studiata, analizzata, e vagliata nei minimi particolari, ciò nondimeno naturalmente vale anche per la prova scientifica.

Possono crearsi situazioni il cui la dichiarazione rischia di essere alterata da risentimenti di carattere familiare, il testimone di un caso di violenza domestica coinvolto da sentimenti affettivi, certamente non può essere considerato un teste indifferente, difficilmente in dibattimento riferirà l’accaduto o se lo fare non sarà nella maniera esatta.

Situazioni invece in cui nella sua narrazione il testimone deve rievocare fatti, cronologicamente datati, distanti dalla realtà e qui un altro fattore può diventare determinante: la memoria.

In questa ambito ci limiteremo ad analizzare i fattori socio ambientali o cosiddetti “processi di influenza sociale” che possono in qualche maniera determinare le dichiarazioni rese da una persona informata sui fatti.

Per farlo, prima di indirizzare l’argomento sul lato psicologico senz’altro di rilevante importanza, lasciamo entrare la scienza sociologica nell’ambito procedurale che riguarda la testimonianza cercando di comprendere quali sono i cd processi di influenza sociale che possono interferire nelle dichiarazioni rese da una persona indagata sui fatti.

Per farlo ci avvarremo della gradita collaborazione della dott.ssa Sociologa criminologa Valentina Musa.

TESTIMONIANZA E “ CONTAGIO SOCIALE”:

Un rischio troppo spesso sottovalutato

a cura della dott.ssa Valentina Musa – Sociologa-Criminologa *

Nell’acquisire una testimonianza, soprattutto in un procedimento giudiziario, il recupero del ricordo gioca un ruolo fondamentale. La memoria non funziona come una registrazione video, ognuno di noi percepisce, acquisisce, immagazzina ed infine rievoca un ricordo in modi diversi. Ed in questo caso, molti fattori di natura ambientale influiscono sul ricordo e sul modo in cui un evento è vissuto da una persona, oltre al suo grado di coinvolgimento che può essere diverso se si tratta di testimone o vittima.

Infatti, se la fase di recupero dell’informazione in memoria avviene in un contesto ambientale simile a quello dove è avvenuto l’evento o addirittura nello stesso luogo dove il testimone ha acquisito l’informazione primaria, il ricordo risulterà sicuramente più accurato e, di conseguenza, la testimonianza più attendibile.

Oltre alle difficoltà legate alla fase di recupero del ricordo, ciò che più spaventa oggi è la tendenza dell’uomo a lasciarsi influenzare dal contesto sociale che lo circonda. Tutto ciò che ci appartiene, pensieri, azioni, visione di noi stessi, non è altro che il prodotto delle relazioni con l’ambiente di vita e più in generale con il contesto etno-socio-culturale. Ma in cosa consiste il processo di influenza sociale? L’influenza sociale riguarda tutto ciò che produce un cambiamento di comportamento in virtù di influenze presenti in un dato contesto.

All’inizio del secolo, l’influenza sociale è stata studiata osservando come le persone tendano ad imitare gli altri; l’imitazione veniva definita come una caratteristica sociale dovuta ad una sorta di attrazione invisibile verso gli altri e percepita come una caratteristica della natura umana. Oggi, gli psicologi sociali ritengono che la tendenza all’uniformità non sia spiegabile con il concetto di istinto, ma con un insieme di pressioni invisibili e nascoste denominate in diversi modi: imitazione, contagio sociale, confronto sociale.

È su questo aspetto che dobbiamo porre molta attenzione, in quanto, può esserci la tendenza a “difendere la propria reputazione” per evitare il confronto sociale (e soprattutto il c.d. “etichettamento” che la società stessa attribuisce).

Gli individui, dunque, entrano in un processo di confronto sociale ogni qualvolta sentono il bisogno di valutare il proprio comportamento e di “adattarlo” alle norme dell’ambiente e del contesto socio-culturale. Infatti nei casi di reati di violenza legate alla sfera sessuale è possibile rilevare il processo di influenza sociale in quanto, in un contesto dove “tutti sanno tutto di tutti”, molti non si assumono la responsabilità di denunciare un fatto grave perché non si ha coraggio, perché si ha paura e perché non si vuol passare quali spie ed allora si sceglie la via dell’omertà. Ancor più sconvolgente quando si tratta di vicende di abuso sessuale sui minori.

La testimonianza in ambito giudiziario spesso costituisce l’unico elemento di prova contro l’indagato, ed è per questo che è assolutamente necessario che la testimonianza venga  gestita attraverso procedure ben definite e condivise con tutti gli organi di polizia, salvaguardando l’anonimato di chi non desidera esporsi al giudizio della sua comunità. Perché la compromissione della fiducia di chi, pur non volendo esporsi con una denuncia formale, consente di interrompere una violenza su un minore, potrebbe vanificare ogni sforzo ed il rischio è quello di incorrere nella falsa testimonianza o, cosa peggiore, di arrivare troppo tardi.

 * nata a Pescara il 25/11/1983, nel 2006 consegue la Laurea Triennale in Sociologia e Scienza Criminologiche per la Sicurezza e nel 2009 la Laurea Specialistica in Criminologia Applicata per l’Investigazione e la Sicurezza presso l’Università degli Studi di Bologna.
Specializzata nella Mediazione Familiare e nella Conduzione dei Gruppi di Parola per figli di genitori separati, si occupa da diversi anni di progettazione sociale e formazione. Consulente di Enti pubblici e privati nella realizzazione di progetti per la sicurezza, la prevenzione dei fenomeni criminali, l’inclusione sociale e la gestione dei conflitti. Si occupa dell’ascolto dei minori in situazione di disagio sociale e malessere generazionale.
  • 01 Giulio Ubertis il Processo penale – la verifica dell?accusa- ed Il Mulino 2008

02 Ferrara, Il Giudizio penale: fatto e valore giuridico cit.327 ed.